Sophia - Apr. 22 '04: Container, Bologna (I)

Review 1
Anche la gente triste è come le stagioni
Pallido dentro l'immancabile camicia scura, Robin Proper-Sheppard pare avere quella faccia da personaggio malinconico di un Sean Penn giovane. Da vicino rivela pure quelle due tre cicatrici che rendono il suo viso assolutamente convincente (e seducente) anche quando canta una canzone triste dietro l'altra, e tu lì in piedi nel fumo e nel caldo del Container ti dici che non può essere sempre così, che bisogna pur trovare un motivo.

Però intanto dondoli la testa e ti piace. Dentro quei are you happy now? e is it any wonder that to me love has no meaning ripetuti allo sfinimento forse ritrovi qualcosa che conosci.
E se funziona con te (che certo non risparmi mai cinismo e superficialità), vuol proprio dire che questa sera i Sophia possono fare strage di cuori. E così è, con tanto di ragazzine innamorate nella fila dietro che tentano impossibili traduzioni e pestano i piedi come davanti a Robbie Williams.

Lui, effettivamente, tra un pezzo e l'altro riusciva simpatico, e pure con una certa modestia, quando ad esempio non sembrava proprio capace di accordare la chitarra, o raccontava di una vecchia storia d'amore finita (guarda caso) male che gli aveva ispirato una canzone.

Il concerto è stato un equilibrato alternarsi di prevedibili passaggi dolenti ad altri tirati in maniera sorprendente, dove il suono finalmente si scaricava rabbioso, come in certe code di brani che invocavano un'impossibile quiete.

Ma l'apice è stato raggiunto con il doppio strepitoso finale di The River Song e If A Change Is Gonna Come: una vera mattanza. Rumoroso e torrenziale, il tormento delle chitarre forse non diceva nulla di nuovo dal punto di vista musicale (notavano i soliti) ma, per come eravamo stati trasportati fin lì, era sinceramente capace di emozionare e lasciare a bocca aperta, e con le guance in fiamme.
Pleonastico, a quel punto, la terza uscita di Proper-Sheppard per sola chitarra e voce. Ma resta una mia opinione, evidentemente non condivisa dal pubblico letteralmente rapito e acclamante.
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Review 2
Eccomi emozionato e teso, entrare nel Container, caldo come un forno (nessun tipo di aerazione!!), per assistere al concerto di una delle mie band preferite: i Sophia di Robin Propper-Sheppard, ex leader degli storici God Machine, ora anima indiscussa di questa formazione che, come poche altre, sa far vibrare le corde dei sentimenti più tesi e nascosti dell'animo umano, con liriche e intrecci di chitarra deliziosi e malinconici.
I Sophia si presentano su di un minuscolo palco, che a stento li contiene, ed iniziano a snocciolare le perle, in forma-canzone,

contenute nella loro ultima fatica "People are like Seasons"; ad iniziare dal singolo "Oh My Love" che infiamma il pubblico stipato sotto il palco, proseguendo con "Fool", la mia preferita del disco, e con la delicata "Another Trauma".
Ma la scaletta prevede anche forti richiami a brani dei precedenti lavori come "Every Day" o "Woman", contenute in "The Infinite Circle", o "So Slow" e "Are you Happy Now?", che erano del loro album d'esordio "Fixed Water".
Robin, tra un pezzo e l'altro, scherza e chiacchiera volentieri con i suoi fans, coadiuvato da una robusta e precisa band, che esalta i brani in versione live, e li rende, se possibile, ancor più sofferti e vivi, carichi d'intensità magnetica e catartica.
Ma il meglio del concerto arriva con "the Sea", interpretata e dilungata nella sua cadenza ipnotica, e con "I Left You", superba nella sua limpidezza glaciale.
La parte finale del concerto spiazza molti, ormai assuefatti alle dolci ballate "sophiane", quando le chitarre (diventate tre) distorte e violente iniziano a suonare le epiche note di "The River Song", una furia selvaggia come un fiume in piena, e le altrettanto impetuose note di "If a Change is Gonna Come" dal testo schietto e diretto, come un pugno in faccia ben assestato!
Robin poi si ripresenta sul palco da solo, per un'ulteriore perla donata ai tanti fans accorsi a Bologna, e ormai allo stremo: una versione solo chitarra e voce di "Is It Any Wonder", meravigliosamente languida nella sua malinconia disillusa e quasi leopardiana.
In attesa di rivederli in Italia, per un loro annunciato ritorno sulle scene in autunno, i Sophia si confermano come una delle formazioni più vere e intelligenti della scena (ahimè) povera e ripetitiva del rock contemporaneo..
Luigi Anania, www.mescalina.it

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