Sophia (+string quartet) - Aug. 6 '05: Frequenze Disturbate festival, Urbino (IT)



Review 1

Mentre ascolto i Kech mi guardo attorno visto che dalla fortezza si vede tutta la citta' vecchia e mi accorgo che la' vicino ad un albero ci sono i Sons and Daughters from Glasgow seduti su una panchina, ci avviciniamo io e Garrett per fare qualche domanda ma ahime' sono gia' impegnati in un'intervista (e forse con un afrikaner)quindi ci resta solo il tempo per scattare qualche foto. Un gruppo rivelazione quello dei Sons and Daughters (www.sonsanddaughtersloveyou.com) anche loro impegnati nel presentare il nuovo album The Repulsion Box che segue il mini allbum per altro bellissimo Love The Cup. Appena la cantante Adele Bethel appare sul palco centinaia di macchine digitali, tra cui quella del socio di trasmissione Garrett, iniziano a saltare fuori da tasche e zaini (la spiegazione probabilmente e' nella foto stessa vedigalleryfrequenzedisturbate) ma il suono un po' folk un po' punk a volte rokabilly (termine caduto in disuso) prende il sopravvento sulla bellezza della cantante (maybe).
Visto la lunghezza delle loro canzoni molto breve e l'inesistenza di pause tra un pezzo e l'altro riescono a completare il loro repertorio per lasciare il palco ai Sophia dopo un'oretta di performance. Qui il discorso si fa complicato e invito' Garrett a mandare qualche commento visto che l'intervista con Robin Sheppard l'ha gestita lui.
SOPHIA ovvero una band che dal vivo non delude mai e questo lo garantisco visto che come 'fan' dei God Machine l'ho vista quattro volte. Nonostante il suono sia malinconico e i testi non siano tra i piu' allegri Robin (the singer) appare come un tipo solare, contento di quello che fa, un tipo che crede nel suo lavoro nonostante non sia mai emerso dall' underground (e forse e' anche la nostra fortuna). Il repertorio comprende soprattutto i pezzi che si trovano nel live "Den Nachten" in piu' una versione di "Oh my love" fatta in acustico e dedicata alla singer dei Sons & Daughters (forse gatta ci cova) e una versione sempre acustica di "Bastards". Il concerto si conclude con la bellissima "the river song" . Penso che Robin abbia trovato la sua formazione, una formazione che comprende sempre piu' spesso strumenti classici (violino, viola, violoncello e contrabbasso) sostituiti a quelli elettrici.
La serata di sabato si conclude con gli inglesi Echo & The Bunnymen e qui mi faccio da parte per lasciare la parola a Garrett anche se non penso il suo commento sara' positivo.
Un saluto a coloro che vedranno Yo la Tengo e Blonde Redhead stasera e a coloro che hanno visto Dinosaur Jr venerdi' e un invito a mandare commenti.
Un ringraziamento ad Emiliano Vernokki, aspettiamo le tue foto e ti aspettiamo pure sabato pomeriggio in radio.
Andrea, afternoon tunes, Radio Citta'Fujiko, radiocittafujiko.it

Review 2
Ci sembrava felice di vederci questa volta Robin e noi siamo sempre felici di vederlo – sarà la quarta o quinta volta in questi anni che lo vediamo, ora a Padova, ora al Covo, ora a Urbino.
E’ graziosa assai Urbino e il tempo era bello, non troppo caldo. Strade un po’ troppo ripide forse (http://www.urbino.com/prodotti/SchedaProdotto.asp?PathID=0.802.804.814.816&IDDB=1&Lan=IT).
Robin sta sempre a cambiare qualche cosina nel suo Sophia Collective, questa volta senza una seconda chitarra, e parlando con lui prima, ho visto un’artista che non è mai contento di lasciare le cose come sono, vuole sempre fare delle cose nuove. Ha una voglia immensa di suonare (sembra sia sempre in tournee). Sembrava un bimbo pronto ad entrare nel negozio di caramelle.
Un concerto quasi all’altezza di quello memorabile all’Estragon l’anno scorso e se dico quasi è solo perché i concerti ai festival hanno sempre dei limiti: di tempo, soprattutto, e il dovere condividere il palco con altri gruppi.
Che senso ha poi aprire le “porte” a noi alle 19,15 se il primo gruppo inizia alle 19,10?
Tutti poi, da Kech a Robin stesso, si lamentavano del fatto che gli Echo & the Bunnymen “were so fucking late” (Robin, ho notato, sta spesso a dire quella parola che inizia con “f” ma come gran gentiluomo che è si ferma poi - ( http://www.logix.cz/michal/humornik/fuck.xp ) e tutto sommato erano antipatici gli Echo.
Premesso che da 15 anni (1985) in poi, andavo tutti gli anni a vedere gli amati Echo e che “l’antipatia” di Ian McCullough era quasi un punto forte del gruppo, mi hanno fatto un po’ pena sabato. A me sembrava che Ian non voleva esserci e ha anche fatto delle battute non simpatiche al riguardo.
Delle canzoni anche belle che hanno scritto in questi ultimi anni (da quando non sono più il gruppo “cool” di prima) poco o niente; il chitarrista Will Sergeant sembrava un robot, era un po’ come ascoltarli in cassetta (come abbiamo fatto in macchina all’interno dell’esodo estivo da Bologna). A me, poi, puzza di pigrizia fare canzoni di Lou Reed e Jim Morrison quando voi siete Echo & the Bunnymen (www.bunnymen.com) e avete dischi pieni di capolavori: diamo al pubblico quello che il pubblico vuole!
Robin, invece, vuole, ama rischiare. Durante la nostra intervista improvvisata prima, parlava di un esperimento con la canzone “Bastards” (“All men are bastards, all men are swine, ….) e in effetti a un certo punto sul palco sembra che hanno tolto la luce (“E’ stato Ian a farlo!”) ma Robin sta lì con la sua chitarra e canta soave soave e poi arrivano le note dolci degli archi e si capisce e si gode.
E’ una musica particolare quella che fanno i Sophia. Scherzando un po’ in casa con mia ragazza che magari preferisce canzoni un po’ più allegre, improvvisiamo le parole di Robin (tipo: “Ieri mia ragazza morì, e poi calpestai una merda”) ma poi forse è meglio pensare che non ci sono canzoni tristi e canzoni felici solo canzoni belle e canzoni brutte.
(Detto ciò, canzoni come “The Sea” sicuramente non sono da pogo).
Per me, la canzone più bella di sabato è stata “Desert Song no. 2” che poi ricorda (il titolo stesso, anche) il primo gruppo di Robin, i mitici God Machine:
Do you need someone, do you need a friend
Or do you just need somebody that lets you pretend
(http://www.sophiamusic.net/lyrics_pals.htm).
Anche “River Song”, una canzone che fa quasi sempre verso la fine del concerto, aveva una struttura diversa. Ci diceva che in questo periodo sta nella sala di registrazione a Londra (dove farà un concerto particolare al Barbican Centre: tutte le canzoni del disco del 1998 “The Infinite Circle”: http://www.sophiamusic.net/discoFrameset.htm; http://www.barbican.org.uk/generic/details.asp?eventID=3266&artFormID=2&artForm=music ) e ancora fui colpito dalla sua passione per le sue piccole grandi canzoni. La musica di Sophia poi ha quella capacità rara di farti venire la pelle d’oca.
O forse era il vento freddino marchigiano.
Grande Robin (e amici), see you soon!
Garrett James Higgins, afternoon tunes, Radio Citta'Fujiko, radiocittafujiko.it

Review 3
Dopo un'anteprima esclusiva, ecco un gradito ritorno: Sophia. Robin Proper-Sheppard - che i più attenti ricorderanno alla guida dei seminali God Machine, è di nuovo in Italia per una data specialissima con tanto di quartetto d'archi al seguito. Gli arrangiamenti ascoltati nel crepuscolo della Fortezza sono da brivido, tanto che le magiche canzoni di "People Are Like Seasons" acquistano uno spessore anche più intenso di quello già fotografato su disco. Le sferzate elettriche vengono dunque sostituite dallo sferragliare dei legni, che dipingono gli 'innamoramenti dolorosi' descritti dai testi portandoli in circoli melodici barocchi e definitivamente affascinanti. Un concerto intenso e bellissimo, una vera esperienza sensoriale e un viaggio dentro se stessi pur calati nella folla.
www.MTV.it

Review 4
Dopo tanto rumore entrano in scena i Sophia, forti di un pubblico fedele acquistato durante le frequenti incursioni del gruppo in Italia. Cantante, contrabbasso, batteria e quartetto d’archi tutto femminile hanno sfoderato, nel look e nella musica, tutta l’eleganza e la sobrietà di un buon concerto acustico. “Ciao, mezzi amici”, esordisce Robin Proper Sheppard in perfetto Italiano. Cerca di intonare una canzone. Per tre volte. Poi si stufa e manda tutto a puttane. “Oh. Al diavolo. Non ci riesco…”. Riprende con la successiva mentre il pubblico assiste solidale e divertito. Ed è magia. Finalmente dopo tanto rumore Robin e il suo quartetto ci regalano una pausa di onirica tregua. Una velata luce bianca costruisce oblique pareti di luce sul palco. Il suono del quartetto d’archi è omogeneo, fluido, preciso, surreale, caldissimo. Un contrappasso perfetto per l’aspra voce melanconica di Robin. Il pubblico lo segue. Più avanti Robin torna ad incepparsi. “You can do it!”, urla uno dalle prime file. “I know I can!”, replica fra lo seccato e il divertito l’elegante performer. Robin indossa stiratissimi jeans e una distinta camicia bianca. Potrebbe essere firmato Armani. Nuovi problemi sul palco. Salta l’impianto elettrico. I tecnici del suono suggeriscono una pausa temporanea forzata. Robin non è della stessa idea. “Se tutto il pubblico facesse VERAMENTE silenzio…”, e invita gli spettatori a zittirsi. Uno sibilante “Shhh…” viene veicolato verso il fondo dell’arena per propagare l’invito al silenzio. Il miracolo viene infranto da un’elettricista, che dà il suo contributo alla serata suggerendo:” Oh! Fate un po’ di casino… che tanto fra un po’ la luce torna!”. Ma la luce non torna, il silenzio tiene, il miracolo si manifesta. Robin si avvicina al bordo del palco, incomincia a suonare lentamente la chitarra e ad intonare “Bastard”. Che effetto! La voce c'è. Tutto è buio. Due tecnici illuminano con pile elettriche le partiture degli archi, che di lì a poco danno man forte al cantante. Una voce, strumenti a corda, nessuna amplificazione elettrica. Più unplugged di MTV Unplugged. Una trasmissione totalmente intima e diretta alla vecchia antica maniera, come poteva essere in una primitiva arena ai tempi della Civiltà Ellenica. La luce torna, accompagnata dagli applausi. Quali altri cantanti avrebbero avuto una simile determinazione e sicurezza?
”Sembra proprio che qui in Italia oggi avrete un concerto storico. Non solo è la prima volta che mi capita una situazione del genere, ma sarete i primi a sentire una versione di ‘All my love’ accompagnata solo dalla chitarra”. Al termine della canzone un pazzo, un po’ grasso e sulla cinquantina, riesce, ancora non capisco come, a salire sul palco ed abbracciare il cantante. Ci proverà più tardi anche con Ian degli Echo & the Bunnymen. Ian non farà in tempo nemmeno ad accorgersene in quanto “Il Napoletano” (così è stato ribattezzato) sarà portato via alle sue spalle ancora prima di riuscire a toccare il bene culturale di Liverpool.
”Questa canzone la dedico alla cantante dei Son & Daughters!”. Nell’esecuzione di “Sea”, perfetta in modo irreale, gli archi sembrano animarsi di quella linfa vitale propria degli elementi della natura, e accompagnare il pezzo come i dolci flutti delle onde del mare.
”Questo ultimo pezzo lo faccio da solo alla chitarra, così poi se fa schifo non potete incolpare la band!”
Tutto procede senza intoppi, e i Sophia lasciano un buon ricordo di loro.
Mark Zonda, www.ephebia.it

Review 5
Ah! Pare di capire che si sia proprio trattato di una defezione in piena regola, come in ogni festival che si rispetti! (sembra dare segni di impazienza) E i Sophia, c’erano?
Altroché! Anzi, secondo me quello là (Robin Proper-Sheppard) è rimasto ancora lì…avresti dovuto vederlo, era felice come una Pasqua, con tutto che non l’avrei mai detto, di uno con la sua storia. La sera della loro esibizione si è intrattenuto al DJ set nel Cortile Raffaello, e il giorno dopo è rimasto fino alla fine, a mettere dischi (meglio: scegliere canzoni da un Macintosh) al banchetto di Losing Today. Un bel tipo.

Immagino che il pubblico femminile abbia gradito…
Immagini bene. Qualcuno mi ha anche fatto notare una sua forte somiglianza con Chandler di Friends, ma non c’ è nemmeno bisogno di precisare che non ho mai visto una puntata di quella roba, e che quindi non posso dire nulla in proposito –controllerò, comunque. Ah, e permettimi di aggiungere che anch’io ho gradito moltissimo (ma proprio moltissimo!) una delle estimatrici del nostro. Adoro i piercing sul mento!

Forse sarebbe il caso di darci un taglio con questi discorsi.
Ma hai cominciato tu, brutto imbecille! Sì, credo proprio tu abbia ragione. Beh, quello che voglio dire è che malgrado i Sophia non mi facciano impazzire (voglio dire, tutti amano i God Machine eccetera eccetera eccetera, The Infinite Circle è un bel disco eccetera eccetera eccetera, ma vogliamo parlare di People Are Like Seasons?!) il loro concerto non è stato affatto male, e mi ha persino strappato un brivido..

…ad un certo punto è andata via la corrente (sai tutti quei discorsi che facevamo prima sull’organizzazione?), e lui è stato molto bravo a tenere in pugno la situazione. Il suo pezzo forzatamente unplugged, con tanto di accompagnamento di archi, direi che lo possiamo tranquillamente mettere nella cartella delle cose da ricordare di FD2005. Anzi, dirò di più: facciamo che gli perdona anche l’aver spacciato una versione quantomeno precaria di Oh My Love come anteprima assoluta.
KasparHauser, somethingilearnedtoday.splinder.com


Review 6
In seguito alla tragica scomparsa di Jimmy Fernandez (bassista nei God Machine), l'ex-leader della band Robin Proper-Sheppard ha dato inizo ad un altro progetto, i Sophia, band profonda e "afflitta" dal dolore.
Si presenta per l'occasione con una formazione a sette, tre violiniste, una violoncellista, un contrabbassista, un batterista e lui, voce e chitarra acustica.
Robin è sempre cordialissimo, domanda al pubblico se secondo loro i suoni vanno bene, scambia piccole battute, rivolge sguardi teneri. Proprio una gran persona, persino dopo il concerto è disponibilissimo a chiaccherare con i fan, prendendo volentieri lui stesso l'iniziativa. Durante il concerto la chitarra l'accarezza, è leggiadrissimo, si vede che per lui ogni brano ha un valore vero e proprio. I quattro archi emanano suoni angelici, la batteria è leggerissima, così come il contrabbasso.
Buona la scelta dei pezzi, estratti equamente da tutti gli album. Si inizia con "I Left You", da People Are like Season, il singer la ricomincia più volte, finché si interrompe e passa ad un'altra. Valore affettivo? Non se la ricordava? Fatto sta che si susseguono le tristissime "Swept Back", "If Only" e "The Sea". Se la scelta di portare on stage gli archi è magnifica, alcuni brani paiono snaturati, si nota la carenza degli arrangiamenti, in particolare quelli con il piano, risultando magari in certi punti incompleti. Alcuni sono riproposti esclusivamente acustici, come "Oh My Love", in anteprima per noi italiani.
I fan saranno guidati attraverso un viaggio visionario, durante il quale, socchiudendo gli occhi, le emozioni vengono a galla. Si continua con "So Slow", "Are You Happy Now", "The Desert Song No. 2" e "Every Day".
Chi non conosce i Sophia finirà addormentarsi, data la lentezza di parecchi pezzi. Il momento veramente commovente, per tutti, è quando salta la luce. Robin annuncia che "se l'audience fa un po' più silenzio..." e attacca a suonare la chitarra senza amplificazione, seguito dagli archi, aiutati da un paio di tecnici con delle pile in mano. La sensazione è una delle cose più spettacolari, interiori, toccanti che si possano provare. Nessuno fiata. È magnifico, indescrivibile, di più. Alla fine, gli applausi sono calorosissimi, sentiti, finché torna la luce. Momenti del genere accadono raramente nella vita.
In piena tradizione si conclude il concerto con del noise finale, con tanto di effetti, sviando la potente "The River Song", per poi salutare tutti e ringraziare. D'altronde i Sophia non sono solo un gruppo, sono un'esperienza, da rivivere ogni volta, live, guidati in un tour emotivo, e su CD, distesi sul letto, a testa alta, con accanto una luce fioca.
Senza parole.
Beatrice Pizzi, HMP.it


Line-up:
Midwest
Kech
Sons and Daughters
Sophia
Echo & The Bunnymen


photos by Fabio Montecchio
Photo's by Fabio Montecchio

Photo's by Fabio Montecchio

Photo's by Fabio Montecchio


photos by Garrett James Higgins
Photo by Garrett James Higgins, Radio Citta'Fujiko

Photo by Garrett James Higgins, Radio Citta'Fujiko

Photo by Garrett James Higgins, Radio Citta'Fujiko

Photo by Garrett James Higgins, Radio Citta'Fujiko


Photos by HMP.it