Sophia (+ string section) - Oct. 07 '09: Musicdrome, Milano (IT)

Review 1
Ho scoperto che lo chiamano ‘sadcore' e la definizione senza dubbio è azzeccata: parliamo del genere musicale dei Sophia, una ballata intimista e romantica di matrice folk, in equilibrio tra emotività wave, sapienza pop e qualche eco dark. Il gruppo che da sempre si riconosce nell'apolide Robin Proper-Sheppard, un americano atipico che l'Europa ha adottato sin da quando vi arrivò dalla California insieme ai God Machine (trapiantati nel nostro continente dove incidevano per la stessa etichetta dei Cure, la Fiction, e finirono anche la loro storia, dopo la tragica morte del bassista Jimmy Fernandez avvenuta a Praga durante le registrazioni del secondo album), è nel pieno di un tour nel quale si esibisce con un quartetto d'archi, una soluzione abbastanza familiare per le sue corde. L'atmosfera si avvicina a quella del live De Nachten, e alla Valentine's Day Session viennese inclusa nell'edizione doppia di There Are No Goodbyes, l'ultimo LP.
Al Musicdrome si sta larghi, segno che la sala è ben lungi dall'essere esaurita, e non è un male se si considera l'atmosfera necessariamente raccolta del concerto; anche un normale brusio o chiacchiericcio finiva per disturbare. La band, leader più quartetto d'archi, basso, seconda chitarra, batteria e tastiere, inizia puntualmente aprendo la scaletta con The Sea e Swept Back; la prima drammaticamente accorata, la seconda con lo stesso pathos e più dolci modulazioni. Il canovaccio di tutta l'esibizione sarà la tipica ballata lenta di casa Sophia, romantica, visionaria, amara e crepuscolare come può essere una Ship in The Sand ("sono una nave insabbiata in attesa della marea") o rarefatta e rassicurante come Storm Clouds ("lascia che le nubi minacciose passino/ e la tempesta svanisca/ asciugati gli occhi, mia cara/ e non aver paura"). Non poteva però mancare lo spazio per la spumeggiante Obvious, tratta dall'ultimo album, le ritmate Oh My Love e Pace e la cadenzata ma potente The River Song.
Robin Proper-Sheppard, chitarra acustica a tracolla, ha uno sguardo che non si sa se più concentrato o estatico, pieno di sentimento eppure distanziato, trasognato; con un'espressione tra il beato e il doloroso, gli occhi semichiusi, il volto lievemente contratto come se fantasticasse: alla fine confesserà proprio di sognare mentre suona dal vivo. Nonostante l'abito canoro e il corollario lirico di sentimenti difficili, di perdite, di cuori spezzati, ha uno spirito gioviale; si dimostra vivace nel dialogo con il pubblico, in cui si concede anche diverse battute e accenna a fatti privati da cui sono nate canzoni quali Heartache (scritta per una donna che "è una stronza ma di cui sono ancora innamorato"). Una bellissima presenza, musicale e umana.
Il bis è un set nel set per Proper-Sheppard solo con quartetto d'archi. C'è subito la richiesta del pubblico di So Slow a sconvolgere i programmi; Robin esegue, prima della toccante e meravigliosa Lost, dedicata alla madre morta di cancro, e di Something, di cui lo stesso autore racconta in maniera dettagliata la storia: splendida anch'essa, peccato solo per qualche spettatore voglioso di essere protagonista che la stona ad alta voce imitando a sprazzi pure il controcanto femminile del disco. Mi sovviene allora il ricordo di una bella esibizione alla Fortezza Albornoz di Urbino di qualche anno fa, sempre con il quartetto d'archi, nel corso della quale ci fu un blackout di corrente e il leader dei Sophia suonò e cantò privo di amplificazione lasciando tutti senza fiato: prima, perché tutti fecero silenzio; e dopo, perché fu un momento fantastico. Ma è evidente come certi miracoli non si ripetano; a scanso di equivoci, nessuna interruzione di corrente ha funestato lo show milanese, chiuso con un'ultima magia: Directionless.
Tommaso Iannini, delrock.it, 08.11.2009


Review 2
Hello, goodbye.
Robin Proper-Sheppard e i suoi Sophia sono in tour con un quartetto d’archi per promuovere l’ultimissimo lavoro “There are no goodbyes”. Mi sembrava quindi il minimo assistere al concerto che hanno tenuto ieri al MusicDrome e rivederli live è stato davvero ottimo. Il signor Sofia si è dimostrato:
- un grande cantante (mi piacciono le inflessioni che da alle parole quando canta e come si lascia trasportare dal pezzo)
- un validissimo uomo di spettacolo (apprezzatissime la piacevolissima ironia tra un brano e l’altro, la capacità di improvvisare e di lasciare che il pubblico richieda le canzoni)
- una persona ottima e piena di passione, sia per la musica dal vivo (ancora un po’ e dovevano tirarlo giù dal palco a forza, se fosse per lui avrebbe continuato a suonare per ora), sia per la gente che lo segue (la pazienza, il sorriso, la gentilezza e l’affabilità dimostrata dietro al banchetto ad autografare cd e vinili per molto tempo, e a rispondere alle domande e richieste degli astanti è più che lodevole).
(Una piccola nota sul locale: fili elettrici penzolanti, pavimento disastrato, pannelli del soffitto mancanti o peggio penzolanti sopra al palco. Hanno anche tolto i posti a sedere modello spalti. Pare che stia diventando un locale caraibico ma solo venerdì-sabato-domenica. Il resto del tempo fanno concerti. Chi sa, parli!).
Felson, felson.splinder.com, 08.10.2009


Review 3
I Sophia sono un classico esempio di gruppo sconosciuto all’ascoltatore medio, già sentito nominare da quello un po’ più “attento” e assolutamente adorato dai propri fan.
L’ex God Machine Robin Proper-Sheppard è l’incontrastato padrone della creatura, una personalità carismatica, affascinante, forte, ma allo stesso tempo discreta, soffice, proprio come la sua musica.
La band, di cui Robin è l’unico membro costante, è in pista dal 1995, riuscendo però a sfondare le barriere della popolarità solo nel 2004 con il quarto splendido album “People are like seasons”, capolavoro del rock malinconico all’inglese (pur essendo Robin americano, ma di stanza a Londra ormai da quasi 20 anni).
Torniamo al presente. I Sophia sono al Musicdrome di Milano per presentare l’ultimo disco “There are no goodbyes”, un lavoro di buona fattura, nel classico stile slowcore della band.
Non che mi attendessi un locale gremito in ogni ordine di posto, però sono rimasto sinceramente deluso dalla piuttosto esigua quantità di pubblico: ricordo un concerto di ormai cinque anni fa all’Interzona di Verona colmo di gente. Vabbè.
Robin e soci, in otto tra strumenti rock e archi, non si buttano giù ed alle 21,45 salgono sul palco milanese dopo la serata romana del giorno prima.
I fan, come si diceva prima, lo sono per davvero e l’atmosfera si scalda subito, il livello di comunicazione tra la band ed il pubblico sono ottimi e stranamente non si vedono neanche le solite gaffe italiche per manifesta incomprensione della lingua d’Albione.
Gli archi, la chitarra e la voce dei Sophia stendono un tappeto soffice sul quale cullarsi e riflettere, esplodendo in diverse occasione con cambi di tempo illuminanti come nella fantastica “Desert song n.2” tratta dal già citato “People are like seasons” o anche in canzoni tratte dall’ultimo album o dal precedente “Technology won’t save us”.
Le sonorità dei Sophia ti portano in un mondo autunnale, sognante, e quando si fermano per l’encore ci si accorge che è già passata più di un’ora. Il tempo di altri tre brani (+ uno in un secondo encore richiesto a gran voce dalla platea milanese) e tutti a casa, soddisfatti di un ottimo concerto, una di quelle belle occasioni dove si crea un’intimità stupenda tra le emozioni della gente e quelle degli artisti, dove ci si sente a casa. E, a proposito di artisti, tra il pubblico si intravede, forse inaspettatamente, un interessato e lucido Vinicio Capossela.
Insomma, questi Sophia proprio così sconosciuti non sono…
Ercole Gentile, musicreporters.rockol.it, 08.10.2009


Review 4
Ci sono concerti cui molti vanno perché “devono” esserci, quanto meno per stare al passo, altri cui vanno in pochi, ma che sono lì perché “vogliono” esserci. Quello dei Sophia rientra senza dubbio nella seconda categoria. Stasera al Musicdrome di Milano, seconda delle tre tappe del tour italiano di presentazione di “There are no goodbyes”, uno dei migliori dischi del 2009, il pubblico, circa trecento persone, è preparato e sa che passerà una bella serata, insieme a canzoni che sente sue. Robin Proper Sheppard si presenta con una band di quattro elementi più un quartetto d’archi; il risultato è perfetto; chi ha ascoltato il nuovo disco con il cd bonus delle Valentine’s Day Sessions (registrato live in Vienna il 14 febbraio scorso) non si stupirà; gli altri resteranno piacevolmente sorpresi. L’inizio con “The sea” e “Swept back” crea subito l’atmosfera giusta, seguono “Signs” e “Storm clouds”, dal nuovo lavoro; altri estratti saranno l’acustica “Dreaming”, la commovente “Heartache”, forse il momento più bello di tutto il concerto, la melodiosa "Something" e la coinvolgente “Obvious”. Stranamente lasciate fuori le prime due del cd, “There are no goodbyes” e “A last dance”, entrambe bellissime e di pronto impatto. Tra le altre da segnalare la psichedelica “The river song”, la struggente “Lost”, l’hit dark “Oh my love” e la meravigliosa “So slow”. Due bis (nel secondo Robin s’interrompe perché qualcuno a lato del palco, verosimilmente qualche infiltrato, parla a voce alta e gli fa perdere la concentrazione…) e si torna a casa felici di esserci stati. Quanto a me ho solo una piccola delusione: se solo avesse fatto anche “If only”, se solo…
(Marco Bonini, www.discoclub65.it, 08.10.2009






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